Melegatti, storico produttori di pandori, ha rischiato il fallimento. Il rilancio è stato merito, oltre che del fondo maltese, del tam-tam avvenuto sui social. Fenomeno social-mediatico o precisa strategia di marketing?
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i Melegatti stanno parlando tutti. Dai social, alla politica, ai quotidiani nazionali. La storia della rivincita di una storica azienda italiana ha coinvolto tutti, primi fra tutti i dipendenti che da Agosto non percepiscono più lo stipendio. La premessa è questa: l’azienda di Verona, che nel 1894 brevettò il Pandoro, era già piuttosto avanti nel percorso che la stava rapidamente portando al fallimento. Complici anche alcuni errori, forse troppi, che avevano gettato il prestigioso marchio veronese nella bufera. Si parla ancora di social, dove nel 2015 Melegatti venne bollata come azienda omofoba per via del pessimo post che reclamizzava le brioche per la colazione con lo slogan “Ama il tuo prossimo come te stesso… basta che sia figo e dell’altro sesso”.
All’epoca l’azienda ebbe un pessimo lancio social. Eppure oggi la produzione è ripartita e, grazie alla staffetta nata e cresciuta proprio sui social, l’azienda è riuscita a raggiugnere il traguardo di produzione fissato di un milione e mezzo di pandori. Un traguardo che, pur riportando la produzione ai livelli pre-crisi, non ha comunque allontanato il fantasma della cassa integrazione. In ogni caso i titoli non lasciano dubbi: il rilancio è stato merito dei social.
Nel 2015 Melegatti venne per sempre bollata come azienda omofoba per via del pessimo post che reclamizzava le brioche per la colazione con lo slogan “Ama il tuo prossimo come te stesso… basta che sia figo e dell’altro sesso”.
Ho deciso quindi di analizzare il lavoro fatto su Facebook dalla pagina ufficiale. Il risultato non stupisce, ma è un ottimo caso da studiare. La rimonta di Melegatti può essere stata anche social, ma è soprattutto un successo dei dipendenti stessi di Melegatti. La pagina infatti non ha prodotto che una manciata di post a partire da Settembre, ma il lavoro fatto dai dipendenti dell’azienda stessa e il tam-tam mediatico che hanno scatenato a suon di hashtag #NoiSiamoMelegatti e #rEsistenza hanno fatto il boom. Il tutto è avvenuto sui social, ma in canali del tutto privati. Nulla è passato dai canali ufficiali, ma è nato e si è sviluppato all’interno dei profili privati e tramite catene su Whatsapp.
È facile quindi capire come una pagina che collezionava, fino al post del 29 Settembre, appena 88 Like, 1 una condivisione e una manciata di commenti, sia passata col post successivo (4 Ottobre) a 1.000 Like e 422 condivisioni. Per procedere con il seguente (12 Ottobre) a 1.200 Like e 563 condivisioni fino ad arrivare all’ultimo (6 Dicembre) a 2.900 Like e 2.132 condivisioni. In una parola, più che fenomeno social, l’essenza del marketing virale. Anche se in questo caso il marketing c’entra poco, se non quello indiretto nato dalla reazione spontanea del web a una vera e propria chiamata alle armi. Uno dei pochi casi in cui Facebook ha funzionato da volano non per un caso di bullismo online, ma per alimentare un movimento che ha portato al rilancio di uno storico marchio italiano.
Il futuro è incerto, nonostante il fondo maltese e la produzione tornata a livelli ottimali, Melegatti sembra essere ancora nei guai. Tuttavia l’esperienza di questo rilancio insegna una volta di più che i veri fenomeni virali non si studiano a tavolino. Tuttalpiù si studiano a tavolino quando sono avvenuti, per capire come quel fenomeno si è innescato. Di replicarli però non se ne parla nemmeno. Impossibile stimolare nel pubblico quella voglia di sposare una causa così personale. Sarà interessante ora vedere come l’azienda saprà tenere alto il livello di attenzione del mondo dei social, curando quel pubblico che quasi casualmente si è saputa creare.
Io, per ora, mi unisco al coro. Forza Melegatti!